La prima edizione è stata senza dubbio la migliore, inaugurando una serie di prassi diventate routine negli anni successivi. Prima di tutto i dibattiti ovvero quello che abbiamo sempre voluto: un confronto aperto tra un regista e il pubblico che ha appena visto il suo lavoro. Poi le critiche, feroci, al limite (scavalcato) della presa per il culo. Un momento esilarante che in realtà nasconde la finalità più alta della rassegna: far emergere il talento dal basso senza per questo consegnare alla mediocrità un principio di uguaglianza.
Nella lista delle cose belle non può mancare la barbona, sempre presente, che ha occupato tre posti in sala con le sue buste per quattro giorni consecutivi. La senzatetto non ha perso neanche un corto ed è letteralmente diventata una cosa sola con il cinema Trevi. Più di qualcuno gli ha appoggiato il cappotto sopra pensando che anche lei fosse un bustone, magari buttato lì dall’organizzazione. Quella donna, però, resta un simbolo, l’imprimatur dal basso a un evento che non lascia fuori nessuno, con tutto quello che comporta, odori molesti compresi.
Siamo o no unici al mondo? Sì, siamo semplicemente il meglio che c’è.
A ben guardare il primo Cvi Festival è stato davvero un successo: tanta gente, tanto interesse, film bellissimi (cui accenneremo in un altro capitolo) e altri orribili. E poi c’era il Bar, che nell’edizione di quest’anno tornerà prepotente al posto che gli compete dopo due anni di assenza.
In quel debutto, insomma, c’è il motivo per cui continuiamo ad esistere.